top of page
Marco Vitali - ARCHITETTURE

Marco Vitali - ARCHITETTURE

fotografate da Gianfranco Verrua

inaugurazione sabato 17 giugno alle ore 17:30


Orari di apertura della mostra:

domenica 18 giugno

dalle 09:30 alle 12:30 e dalle 15.00 alle 19.00


dal martedì al sabato dalle 09:30 alle 12:30 e dalle 15.00 alle 19.00


LA MOSTRA


La mostra documenta con  immagini in bianco e nero estratte dal volume "Marco Vitali. Architetture fotografate da Gianfranco Verrua" alcune delle più importanti realizzazioni, fra cui gli ospedali Cardinal Massaia ad Asti, Santa Croce e Carle a Cuneo, Civile a Chivasso, Giovanni Agnelli a Pinerolo e molti altri progetti per residenze private e collettive, centri sanitari e laboratori.



GIANFRANCO VERRUA


La cristallina coerenza dell’impostazione spazio-funzionale, le strette relazioni intessute fra edificio, contesto e ambiente, la sobria leggerezza del linguaggio formale e l’attenta valorizzazione di colori e materiali sono le costanti di un approccio progettuale orientato alla ricerca di soluzioni semplici per problemi complessi. I morbidi chiaroscuri essenziali di Gianfranco Verrua estraggono l’essenza di queste schiette architetture.



Nella borsa degli attrezzi


Mi sono presto orientato, nel mio percorso di fotografo, alla ricerca di immagini ricche e significative quanto essenziali, ma che soprattutto mi dessero piacere e soddisfazione.  Per questo avevo bisogno di uno sguardo libero, aperto e attento quanto solidamente strutturato.  

La rappresentazione fotografica passa infatti attraverso un percorso obbligato: la composizione (ricerca di rapporti e relazioni tra forme e misure e disposizione degli elementi) e l’inquadratura (delimitazione del campo e relazioni del visibile con i bordi dell’immagine) le quali dipendono dalla scelta del punto di vista nello spazio; e la qualità della luce, non meno importante.

Ogni volta che, seguendo il consiglio di Edward Weston, socchiudo gli occhi per semplificare e ridurre la visione all’essenzialità delle forme geometriche di base, alle relazioni spaziali e alle zone di luce e ombra, mi rendo conto che davvero “la composizione è il modo più forte di vedere” e di costruire una fotografia.

 Il buon esito del mio lavoro di composizione-inquadratura è segnato dalla piacevole sensazione che tutto sia al posto giusto e che non si possa aggiungere o togliere qualcosa e nemmeno fare qualcosa in maniera diversa se non peggiorando il risultato. 

Comporre è infatti più questione di cultura visiva ed esperienza, di istinto e intuizione che non di regole (peraltro a volte utili) e mai di conformismo. Arriva allora, oltre alla soddisfazione per il risultato, la sensazione di aver lavorato bene. E’ certo più bello fare una cosa che soltanto guardarla e un maggior piacere - al di là di quello estetico - gratifica chi riesce a realizzare una rappresentazione forte, essenziale, ben proporzionata, armonica ed equilibrata: bella, insomma. 

Il piacere della bellezza, allora, e nella posizione privilegiata di addetto ai lavori. Mi sembra interessante una frase di Robert Adams, letterato e fotografo: “…la bellezza che mi interessa è quella della forma, sinonimo della coerenza e della struttura sottese alla vita… Perché la forma è bella? Perché - penso - ci aiuta ad affrontare la nostra paura peggiore, il timore che la vita non sia che caos e che la nostra sofferenza non abbia alcun senso”. Paura e bisogno di rassicurazione che hanno motivato le più elevate ricerche del genere umano: filosofia, arte, scienza. 

Al bisogno di produrre immagini vere ed essenziali, fondate su composizione, inquadratura e illuminazione, ben proporzionate e armoniche, si associa l’intuizione che quest’attività si possa inserire in qualche modo nell’atavica necessità dell’uomo di cercare un senso alla vita.

Con questo approccio mi dedico specialmente all’architettura e al paesaggio urbano in bianco e nero, cercando luci nette e ombre profonde, l’assenza di veicoli e persone, inquadrature semplici, essenziali e pulite. 

I princìpi che ho esposto mi paiono fatti apposta per rendere lo stile progettuale di Marco Vitali, stile nel quale ho riconosciuto con piacere solidi legami e corrispondenze con la mia visione e gli strumenti operativi che utilizzo.  

Mi è sembrato che il suo progettare si articoli - come il mio fotografare - su forme forti, schiette e pulite, solidamente ancorate alla funzionalità e su una composizione che tende senza forzature all’ordine, all’equilibrio tra staticità e dinamismo e all’armonia delle parti tra loro. La luce gioca anche per lui un ruolo forte, esaltata sia dall’articolazione dei piani e da sfondati e cornici, che creano disegni di ombre, sia dai riflessi delle vetrate. 

Le forme di questi edifici sembrano avere la vocazione dell’incontro con la luce e lo spazio, come i cilindri e le curve generatori di sfumature d’ombra e come gli spigoli e le punte, vettori dello sguardo protesi verso il cielo.

Per me dunque le sue opere - su cui ho lavorato con sintonia e ammirazione - sono il classico invito a nozze, perché parlano una lingua familiare, mi sembrano nate da sensibilità e intenti simili. Al punto che, nella sua e nella mia metaforica borsa degli attrezzi, paiono trovarsi strumenti concettuali non identici, ma spesso equivalenti come funzione e tesi ad analoghi risultati estetici.

                                                                    

Gianfranco Verrua





MARCO VITALI


Attivo dagli anni Sessanta come ingegnere libero professionista, Marco Vitali (Torino, 1942) ha firmato alcune delle più interessanti opere di architettura contemporanea costruite in Piemonte e Sardegna. Co-fondatore dello Studio Solmona Vitali, per oltre cinquant’anni si è dedicato con particolare successo alla progettazione degli edifici pubblici, specializzandosi nei complessi a vocazione sanitaria.




Vitali, ingegnere-architetto


Una questione di stile: il panama sul capo, la barba che incornicia sguardi penetranti, la spider, mezzo di svago, la Smart, auto da cantiere. Ogni traccia è candida, oggi come allora, quando tutto iniziò, nei primi anni Sessanta. Rigorosamente bianco era infatti quel camice impeccabile, che doveva essere per obbligo indossato sopra giacca e cravatta, quando, ventenne studente del Politecnico torinese, Vitali era schierato al tavolo dove il suo mentore, il professor Augusto Cavallari Murat, “ingegnere e architetto, storico di chiara fama e notevole carisma”, così lo definisce, gli insegnò ad occuparsi di progettazione edilizia. Una situazione invero già allora un po’ retrò, ma che lo segnò per sempre. Folgorato dal suo maestro, più che ingegnere si sentì così architetto, imparando a progettare nello studio di uno degli assistenti di Cavallari, l’ingegner Gigi Cappa Bava. Fu l’inizio di una lunghissima carriera, segnata da una non usuale specializzazione in edilizia sanitaria, che lo ha portato a disegnare costruzioni molto complesse, con rigidi percorsi, dotate di tecnologie all’avanguardia e di grande impatto, che però non prevaricano mai l’ambiente, facendo anzi del contenitore ogni volta un qualcosa di ‘leggero’, dalle ampie e articolatissime superfici vetrate, ricco di colori cangianti grazie agli avvolgenti fasci di luce solare che, attraverso queste, ne disegnano i volumi.

“Risale agli anni Ottanta la grande occasione che ha cambiato radicalmente la mia vita professionale – commenta Vitali – A dare il via ai miei progetti di architetture ospedaliere fu l’incarico di rinnovare totalmente i laboratori di analisi cliniche del nosocomio di Chieri. Per questa nuova passione misi parzialmente in un angolo le numerose ville e condomini disegnati sino ad allora, prima con l’amico Mino Aprato e poi con Renzo Solmona, con il quale ho stretto un sodalizio durato mezzo secolo". 

“Ho cercato – chiarisce - sin dagli esordi di privilegiare sempre l’aspetto funzionale delle mie costruzioni, magari a scapito di voli lirici che  potuto avrebbero penalizzarne i residenti. 

E ciò è tanto più vero e importante progettando ospedali. Se si sbaglia ne vanno di mezzo i rapporti sociali, così come la stessa salute dei pazienti e le condizioni psicologiche e lavorative di medici e paramedici, che incrociano i loro destini in momenti molto delicati.

Se si interpreta senza attenzione l’aspetto compositivo di questi giganti, il loro impatto ambientale può essere devastante; se si sottovalutano gli aspetti economici anche delle indispensabili manutenzioni, potrebbe essere messa in poco tempo in discussione persino la generale sostenibilità stessa del complesso. Cosa può esserci di più gratificante che saper soddisfare così tante, diverse e imprescindibili esigenze?”

La consuetudine con Gianfranco Verrua ha determinato la nascita di questo volume. “Mi ha offerto l’occasione di osservare le mie realizzazioni in un’ottica nuova e, per rispecchiarmi nelle mie creazioni". 

                                                                           Mario Ghirardi 


Bijour
L'attente
Chouquette
Noble
Belle
Amandine
Pomme
bottom of page